Gli automi avranno emozioni? No.


Le persone possono percepire, da parte delle macchine o degli automi, risposte emozionali?
Avrei voluto fare questa domanda a Gianluca Nicoletti durante una delle puntate del suo Melog 2.0 su Radio 24(http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Melog_2.0). Purtroppo sono arrivato tardi. Il tema di quella mattina trattava proprio dell’interazione uomo-macchina e del suo rapporto emotivo a tal punto da chiedersi se esisteva un’anima propria alla tecnologia.
Spiego meglio il perché di quella domanda. E’ di questi giorni l’uscita di un piccolo robot cucciolo di dinosauro (Pleo) che, a detta dei produttori, riesce ad interagire con il mondo esterno mostrando “emozioni”. Io, tu (Gianluca Nicoletti) e molte altre persone appassionate di nuove tecnologie e digitale in genere, sappiamo che il giocattolo risponde a certi impulsi legati al tatto e, a seconda della parte toccata (esempio: accarezzo il collo del piccolo dinosauro e questo gira la testa verso di noi), agisce di conseguenza. Probabilmente questo modello è più evoluto rispetto ai propri simili perché l’azione di risposta può essere randomizzata. Anche se l’azione di stimolo da parte dell’uomo (la carezza sul collo) rimane sempre la stessa, esso (Pleo) può “decidere” se girare il collo oppure no, chiudere gli occhi oppure no, grazie a delle cicliche istruzioni random programmate nel chip. Tutto ciò serve a far credere che l’oggetto-robot esprima un proprio “umore” (del tipo “oggi non mi va di girare la testa perché sono un po’ giù” oppure “sono arrabbiato con te”, e così via). Ora, mettiamo questo robot in mano ad un bambino o anche ad un adulto che non si pone troppi dubbi, facciamo carezzare Pleo sul collo e supponiamo che questo giro il collo verso il “padrone” con espressione di affetto. Alla domanda “Sai perché ha girato la testa verso di te e chiuso gli occhi?”, la probabile (e credibile) risposta sarà: “Perché mi vuole bene”. (Tamagochi docet!). Detto questo, ho la convinzione che non sono (o non saranno) le macchine ad esprimere emozioni (o ad avere “un anima”) né ora, né mai, anche se dovessero riconoscere se stesse, come ha detto il Prof. Hofstadter nella puntata. A mio avviso le macchine saranno così sofisticate (evoluzione delle nanotecnologie, dei circuiti e dei chip) a tal punto che l’uomo applicherà loro, in modo del tutto arbitrario, un significante interpretato dallo stesso, come “emozione” in quanto si riconoscerà in quel gesto dettato dalla cultura del vissuto, dall’esperienze della vita. Ma non sarà la macchina a volerlo, sarà l’uomo a percepirlo come tale.

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